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Intervista a Julia Filippo

 

Questa intervista nasce da una conversazione tra Chiara Comunale e Daniela Di Stefano con Julia Filippo, attrice nello spettacolo La Clinica degli Accecati, andato in scena anche a Roma nel mese di Marzo 2014, presso il Teatro dell'Orologio. Manuel D’Aleo ha poi ripreso in mano l’intera intervista riducendola e presentandola come segue. Il lavoro di preparazione per lo spettacolo teatrale si svolse presso l'Aula Columbus dell’Università Roma Tre.
Attraverso questa intervista si riesce a respirare un po’ del Teatro di Julia e del suo viaggiare nel mondo, abituata sin dall’infanzia. E’ una testimonianza di cura e artigianato nel lavoro dell’attore, un racconto che spazia dalla sua realtà professionale fino alla dimensione privata. Importante sottolineare quanto può essere faticosa e travagliata la vita psicologica di un attore, alle prese con l’essere non se stessi e con la costruzione del proprio personaggio, indispensabile per la creazione di un’unicità: questa intervista attraversa questi temi e li dona agli addetti ai lavori oppure no.

a cura di Manuel D'Aleo


JULIA FILIPPO


D : Tu dici, “Ciao, sono Julia e vengo dal mondo!”. In che senso?


R : Nel senso che io ho scelto di fare questo mestiere in giro, perché amo molto viaggiare, ho sempre viaggiato tanto, ho fatto tanti spettacoli. Il mio non aver scelto un posto unico...è da tanto tempo che sto viaggiando... un po’ perché me lo sono sempre cercato non solo attraverso le tournee, ma anche attraverso seminari..


D: Invece Julia di dov’è?come arriva a decidere di fare questo mestiere nella vita?


R: Io sono nata in Salento e poi sono stata esportata a Rimini…da quando ero piccolina ho visto il teatro, perché ho avuto mia madre che era una ballerina di danza contemporanea, quindi da sempre mi sono confrontata con questo ambiente, con questo entourage di persone; mi ricordo che quando ero piccolina ero attorniata da questo ambiente: aiutavo il coreografo con le luci, lui mi diceva gli errori dei ballerini e io scrivevo, e quindi in qualche modo sono sempre stata un po’ dentro questo mondo; ho sempre seguito mia madre in tournee , avevo degli orari disordinati, si mangiava dopo lo spettacolo, io mi mettevo a dormire tra le quinte… Tutto questo fino ai 7/8 anni; mia madre mi portava in giro perché io ero buona, non dicevo niente, mi dava un album da colorare e io coloravo, guardavo le prove...e poi dopo è nata mia sorella e quindi mia mamma ha deciso di restare in un punto fisso, fare spettacoli solo nell’ambito dell’Emilia Romagna. Io ho iniziato prestissimo a fare teatro, avevo 16 anni la prima volta, mi ricordo che mi avevano chiesto di fare uno spettacolo e alla fine dissi alla regista “io vorrei fare l’attrice di teatro” e lei mi disse “cambia mestiere!”. Poi col tempo capii, è un mestiere difficile per tanti motivi: non hai una sicurezza economica, non ti da certezze nella vita, sei un po’ in balia dei venti…poi ho fatto anche i miei studi a Milano e un anno a Parigi.


D: Cosa hai studiato?


R: Beni Culturali a Milano, terribile...una cosa che non serve a niente..(risate), una di quelle cose che fai per il piacere tuo, perchè ti piace; invece magari lingue serve un pò di più!


D: Qual è stato il tuo processo di lavoro ne La clinica degli accecati ?


R: Pierangelo Pompa (regista, ndr) mi disse “io vedo il tuo personaggio in questo modo, lo vedo come una rivoluzionaria, una combattente per la libertà”. All’inizio ero disperata, perché non sapevo a che cosa appigliarmi, lui ci aveva chiesto una proposta di costume e di testi, poesie, una serie di canzoni.. io sono arrivata vestita da campesina, da campagnola, con la gonna lunga, la maglietta sporca e poi una sottoveste che volevo dipingere di sangue.. Lui mi guarda e mi fa:” No, no, sei proprio fuori strada, io non me la immagino per niente così” ..e io mi chiedevo che potessi fare, e ho iniziato con proposte ancora più impegnate: arrivo vestita proprio da combattente, con la fascetta rossa, e lui: “ no no..così non si può assolutamente..” e io ero
disperata, perchè non sapevo a che cosa appigliarmi, in qualche modo è difficile il personaggio politico se non scendi nella banalità, se non hai la bandiera comunista e fai vedere esplicitamente.. e lui mi fa: “no, guarda, io la vedo elegante..con i pantaloni, assolutamente con i pantaloni!”. Aveva sta fissa dei pantaloni..mi ha sconvolto tutto il mondo, non sapevo che cosa proporgli; fatto sta che piano piano è andato a delinearsi il personaggio, che era in realtà un personaggio in borghese, che voleva nascondersi, con quegli occhiali, quella fascia; ad un certo punto avevo creato tutta una partitura in cui andavo in giro per i muri, tipo ispettrice.. di questo poco è rimasto, però diciamo che la base è stata questa: il fatto di nascondersi, di non toccarsi, di non guardarsi, di non avvicinarsi, di avere paura, di essere instabile, questo disequilibrio..la camminata del disequilibrio...di aver perso l’orientamento; questa è stata la base sulla quale abbiamo lavorato. Poi sono nati i guanti flosci con una grande importanza alle mani, alla gestualità... poi è uscita fuori “Poesia d’amore per nessuno in particolare” (poesia contenuta nello spettacolo), e da qui poi sono nati i guanti flosci, che riprendono in qualche modo Víctor Jara, un musicista cileno che è stato torturato durante la guerra civile, con grande importanza alle mani, al gesto, alla gestualità.


D: La fisarmonica: Pierangelo ci ha detto che è da poco che la suoni, come sei arrivata alla scelta di uno strumento come la fisarmonica?


R: E’ poco, ma nemmeno tanto poco, sono 3 anni e mezzo/4 anni; io avevo fatto uno spettacolo a Pontedera con Roberto Bacci,il direttore del teatro di Pontedera, e il pagamento erano delle lezioni di fisarmonica perchè volevano che due persone suonassero questo strumento e quindi ho detto, vabbè proviamo la fisarmonica! È uno strumento bellissimo, molto complesso che implica degli anni di studio, è basato tutto sull’armonia, se non la capisci fai fatica perchè non è che puoi imparare così a casaccio. Poi mio padre ha avuto un incidente grave alla schiena... aveva sempre voluto imparare a suonare uno strumento musicale e, dovendo rimanere un anno in ospedale, mi ha detto che tra i suoi desideri più reconditi voleva imparare la fisarmonica; così abbiamo comprato la fisarmonica e ci siamo messi io e lui ad imparare a suonarla.


D: Come sei arrivata ad avvicinarti al mondo dell’Odin Teatret?


R: Stavo facendo uno spettacolo con Annette Hanneman, The little theatre, e parlando dell’Odin Teatret io le dissi che mi sarebbe piaciuto andare a fare un seminario, ma che non mi era possibile, anche risparminado non ce l’avrei fatta, e lei, dopo lo spettacolo, mentre stavamo mangiando di fretta una pizza prima di tornare in hotel, mi disse: “noi ci andiamo, vuoi venire? Un’attrice è rimasta incinta, io stavo pensando di chiederlo a qualcuno, ma se tu mi dici che ci sei..” e fu così che io andai là, e poi da una cosa viene l’altra, cioè nel senso che ti fai conoscere, ti vedono lavorare per caso..e tutto il resto vien da sé. Secondo me bisogna andare alla fonte, questo è quello che consiglio, vai alla fonte se vuoi approfondire...non ti fidare magari di gente che ti dice che ci sono maestri vari..vai dove sai di poter trovare delle fonti certe, dove ci sono veramente, in questo caso all’Odin, è un viaggetto, ma ne varrà la pena, in qualche modo.


D: Tu lo consiglieresti il tuo lavoro?


R: Io penso che per fare questo lavoro come passione non hai bisogno di nulla, solo del tuo tempo e della tua energia; per farlo come lavoro allora bisogna essere degli “schiacciasassi”,andare contro gli ostacoli senza paura. Il bello e il brutto di fare l’attrice è che sei sempre in primo piano..hai una grossa responsabilità...non puoi essere uguale a come sei, questa è la prima regola: altrimenti siamo tutti attori. Tu arrivi in un teatro, monti sul palcoscenico e sei diverso, devi essere diverso in qualche modo, ci dev’essere una presenza nel modo di porti nello spazio, di porre il tuo corpo, la tua voce, in relazione a qualcosa che non c’è ma che c’è in qualche modo; devi essere diverso da quando cammini per Trastevere, sennò siamo tutti uguali, siamo tutti attori, in qualche modo è questo. Quindi io non lo consiglierei a tutti, perché è molto sfiancante, soprattutto per le crisi; le crisi le abbiamo tutti, ad un certo punto ti rendi conto che ti domandi chi te l’ha fatto fare di stare là a soffrire.. io so che è molto adatto a me, a come sono io, e che non potrei fare nient’altro per come sono fatta io. Io non lo consiglierei a tutti… sono una persona indipendente, ho bisogno di essere libera nel lavoro, l’attrice ti dà questa possibilità.

 

D: Come vedi Julia tra cinque anni?

 

R: Io mi vedo in un futuro più o meno così; mi piace molto quello che faccio, trovo una motivazione in ogni cosa. Alla domanda “perché vuoi fare teatro?” io risposi “perché ho qualcosa dentro che devo buttare fuori, perché voglio esprimermi” ; in realtà ho scoperto perchè voglio fare questo mestiere solo anni dopo, quando alla fine di uno spettacolo un bambino piccolo, avrà avuto 3 o 4 anni, viene da me, raccoglie un fiore, me lo porge e mi dice “Grazie”, e mi ricordo di aver pensato “Grazie a te!!”, perchè mi ha ricordato per chi lo faccio, non per me, non per il mio ego, perchè voglio esere in prima fila, perchè sono bella o brava, perchè la bravura viene dopo anni di studio, se viene, ma per le persone che lo vedranno , per loro..ce lo meritiamo ogni tanto di vedere qualcosa di bello, anch’io ogni tanto quando vedo qualcosa di bello dico grazie, veramente!


D: Cosa ha lasciato Pierangelo Pompa a te e cosa hai dato tu a lui ne La Clinica degli accecati?


R: Credo che Pierangelo abbia fatto un lavoro di organizzazione del tempo, del ritmo e dello spazio all’interno di quell’ora che è lo spettacolo, tutto il resto ce l’abbiamo messo noi; nel senso che poi ognuno si è creato il suo filone, che probabilmente non c’entra niente con quello che lui vede, con quello che a lui gli funziona. Se c’è una cosa che abbiamo imparato è la ricerca di una drammaturgia: lui non ti diceva “fa questo!”, ma ti diceva “io ho bisogno che tu in questo momento faccia questo”.


D: Il tuo personaggio in alcuni punti è anche comico..è voluto?


R: La comicità a me piace tantissimo, ho sempre fatto dei personaggi che hanno una comicità di fondo molto spiccata, ma questa è venuta all’ultimo momento, e il riso per questo personaggio non me l’aspettavo..


D: C’è un oggetto di scena al quale sei particolarmente affezionata?


R: Io non sono affezionata a qualcosa in particolare... però, si, forse i guanti sono stati vitali..una volta feci un’improvvisazione con Pierangelo, io lavoro solo per improvvisazione, mi ha fatto improvvisare per due ore, alla fine ero stremata, sudata, però erano venute fuori cose molto belle, solo con i guanti, io e i guanti..e ci facevo di tutto, infatti li ho rovinati, distrutti..e da qui anche il metterseli in bocca, li gonfiavo come un cuore che batteva...si, i guanti sono la cosa alla quale sono più affezionata del mio personaggio

 

 

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